I turisti hanno riscoperto l’Italia e l’Italia ha scoperto il turismo. Fin qui tutto molto bene.
Nel 2016 l’Italia ha confermato la posizione di quinta destinazione turistica al mondo e i dati del 2017 danno indicazioni di una crescita da record per quello che sembra diventato uno dei settori strategici dell’economia nazionale come dichiarato dalla stesso ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini.
Dai dati 2016 del World Travel and Tourism Councill risulta che la nostra industria turistica vale 70,2 miliardi di euro (4,2% del Pil) che salgono a 172,8 miliardi di euro (10,3% del Pil), se si aggiunge anche l’indotto. Dal punto di vista occupazionale sono circa 2,7 milioni i lavoratori nel settore. L’aumento percentuale degli occupati nel turismo è stato in Italia del 20,3 per cento in otto anni, il più rilevante di tutta l’Eurozona (fonte Eurostat, indagini sulle forze di lavoro).
Questa età dell’oro del turismo italiano non è però figlia di evoluzione, programmazione e professionalità ma innescata da fattori esterni e in parte imprevedibili.
Terrorismo, islamizzazione, eventi naturali, crisi economiche hanno spinto da una parte gli italiani a riscoprire le vacanze non lontano da casa e dall’altra gli stranieri a considerare di nuovo l’Italia come il “bel paese” dalla “Grande bellezza” che offre arte, cultura, mare, sole, natura, gastronomia, moda, design, simpatia e accoglienza.
La trasformazione mondiale del mercato turistico dovuta alla digitalizzazione, alle low cost, alla sharing economy, alla disintermediazione e ai social media ha fatto sì che tanti italiani abbiano adattato o convertito la propria attività e le proprie competenze al turismo. Alcune località hanno scoperto all’improvviso di essere incredibilmente richieste creando dei fenomeni di turisticizzazione estrema. Se questo da una parte ha ampliato l’offerta, sia dal punto di vista geografico che economico, e l’ha resa più accessibile, dall’altra ha messo in evidenza i grandi limiti di un settore frammentato, disorganizzato, disomogeneo, affidato all’improvvisazione, alla buona volontà e alla creatività nostrana.
Siamo davanti ad una grande occasione per fare del turismo uno dei principali driver economici e strutturare il notevole potenziale turistico ancora inespresso.
Non possiamo perderla.
Come e perchè trasformare il settore?
L’Italia ha bisogno di nuova offerta, nuove professionalità e nuovi prodotti turistici.
Sembra un controsenso. Siamo il paese con la maggior concentrazione di patrimonio storico, artistico e culturale al mondo eppure non siamo in grado di sfruttarlo al meglio e sviluppare un vero vantaggio competitivo.
Soffriamo di fenomeni di overtourism (concentrazione di presenze turistiche) in alcune aree e in alcuni periodi dell’anno, di “mordi e fuggi” mentre ci sono ancora tanti angoli sconosciuti e modalità di vivere il turismo all’insegna della natura, del silenzio, dell’enogastronomia, degli spostamenti lenti, delle tradizioni, alla scoperta di un patrimonio a misura d’uomo.
Abbiamo bisogno di innovazione, di destagionalizzazione, di un turismo sostenibile sia per chi lavora che per le risorse in gioco, di valorizzazione dei territori, di creazione di filiere verificate, di uno standard nazionale di qualità dei servizi e dell’accoglienza per creare un prodotto Italia consolidato e che duri nel tempo.
In una parola di professionalità a tutti i livelli e in tutti i segmenti di questo settore.
Il rischio è che se gli stessi fattori esterni che oggi ci fanno volare si modificano a nostro sfavore, finisce il tempo delle vacche grasse e ci ritroveremo con un serio problema economico e occupazionale.
Come creare professionalità
Non è certamente un processo semplice e rapido, ci vuole impegno, volontà e coraggio.
Bisogna prima di tutto far capire agli operatori del settore che acquisire professionalità e competenze specifiche significa avere gli strumenti per differenziarsi e strutturare meglio la propria offerta, significa confrontarsi e creare sinergie e collaborazioni, perché insieme si lavora meglio e si lavora tutti, significa crescere ed imparare ad intercettare le richieste del mercato, ad innovare e investire, a ragionare in modo imprenditoriale.
Essere professionali non significa perdere genuinità.
Spontaneità, creatività, accoglienza, identità sono valori fondamentali che il nostro turismo non deve perdere ma per consolidare e rafforzare i risultati che abbiamo raggiunto è necessario incentivare la formazione, riconoscere nuove figure professionali, stimolare l’aggregazione, supportare e segnalare i prodotti di qualità, innovare.
La sfida è aperta.