Umberto Curti – Ligucibario®
Pochi fenomeni quanto il turismo consentono un approccio insieme scientifico ed umanistico. Se è vero che le discipline “cartesiane” apportano un contributo decisivo quanto a rilevazioni statistiche, economiche, ecc., altrettanto – e sempre più – la psicologia, la sociologia, l’antropologia, la scienza delle comunicazioni indagano qualitativamente i trend.
Molti, fra coloro che varcano in entrata le frontiere, chiedono all’Italia quei valori che ci hanno reso, da sempre, luogo elettivo dell’arte, della cultura, del bon vivre – appunto – made in Italy. Ecco dunque che al viaggio concorrono non solo i forzieri consueti, ma anche artigianato, cucine, folklore, eventi, in una parola ciò che internazionalmente viene talora definito “heritage”, l’insieme di espressioni e risorse che storicamente caratterizzano un territorio/ambiente/popolo.
Il nostro Paese vive tuttavia in tal senso un paradosso, perché ad un settore che dovrebbe costituire la vocazione primaria anche quanto a PIL, si riservano attenzioni, eufemisticamente, discontinue. Io credo ne faccia fede persino il caos nei “vocabolari” talora in uso, dove si confondono concetti in toto diversi, disordine che certo poi non giova neppure a livello operativo.
Ecco pertanto due diadi fra le meno chiare: la prima si riferisce a “marketing turistico” e “marketing territoriale”, talora spigliatamente mixati, la seconda a “prodotto turistico” e “pacchetto turistico”, sul cui uso sarebbe proficuo – finalmente – intendersi.
Marketing turistico vs. marketing territoriale
Marketing turistico è la strategia con cui promuovere una destinazione, accrescerne l’appeal, migliorare le performance di ospitalità, formare quelle risorse umane che giorno dopo giorno si relazionano al cliente. In estrema sintesi, e mutuando qualcosa dal celebre Philip Kotler, marketing turistico è la capacità di osservare l’offerta dal punto di vista della domanda, per confezionarla a misura di target e potenziare arrivi e presenze. Marketing territoriale, viceversa, è “disciplina” altra… Che i due momenti s’intreccino, là dove esso potenzia fattori e asset d’area di cui beneficia implicitamente anche il sistema turistico, e che sovente sono non a caso invocati dal tour operating, risulta ovvio. Che i due momenti convergano – in ultima analisi – su taluni obiettivi (infrastrutture, servizi, animazione locale, networking, ricerca…), affiora ormai in tanta e valida letteratura di settore, Enrico Valdani, Richard Florida…. Nondimeno, con marketing territoriale si intendono gli sforzi per attrarre non già turisti bensì “investitori” e talento, imprenditoria e “vision” creative circa le evoluzioni dei diversi scenari concernenti l’avvenire dell’area. Qui entra in gioco la sagacia competitiva di attore pubblico, agenzie di sviluppo e organizzazioni locali, infatti il marketing territoriale si realizza anche attraverso azioni “below the line”, PR, cultura, manifestazioni, convegni di alto profilo, che implicitamente rafforzano l’immagine mediatic del territorio e il senso di appartenenza della comunità, delle parti sociali e dei sodalizi di rappresentanza a vario titolo “coinvolti”.
Prodotto vs. pacchetto turistico
Ora la seconda questione. Il marketing turistico è infatti chiamato – non a caso – alla “costruzione” del prodotto turistico, il product, l’output che l’area, come destinazione sistema, integrando pubblico e privato distribuisce sul/sui mercati target. Ciò, per le regioni italiane, è tanto più cogente quanto più si penetri lo spirito di recenti Leggi Quadro e disposizioni attuative, là dove in ultima istanza tutti i progetti dovrebbero sortire prodotti turistici integrati.
Sicuri che i dibattiti sulla classificazione in stelle, o altro, mentre vari competitor intensificano quantità e qualità dei plus, appassioni davvero i clienti? Significante e significato: cosa si attendono costoro quando aprono una porta d’hotel? quando cenano in agriturismo? quando si svestono in una cabina balneare? Ma anche quando siedono nella sala d’attesa di una stazione o un aeroporto?
Se la dotazione di risorse (ambientali, culturali, gastronomiche…) di un’area rappresenta turisticamente il suo hardware ma non è tout court, se non in rari casi, un prodotto turistico bensì un puzzle di luoghi e beni, ciò che può evolverla in prodotto è il software che la organizza e la targettizza. I casi recenti di Spagna, Croazia, Turchia (per fare alcuni nomi) indicano che la lotta insidia ormai perfino mercati dove storicamente l’Italia era iper-competitiva.
Il software che organizza in prodotto e targettizza le risorse di una destinazione è quell’insieme di informazioni, servizi, facilities di “accesso”, itinerari, eventi tematici, peculiarità d’accoglienza e shopping che prefigurano e comunicano la meta ai turisti e via via ne appagano le aspettative. In un tempo nel quale il come conta più del dove, l’offerta è chiamata a garantire all’ospite esperienze ed emozioni irripetibili altrove, vacanze coinvolgenti, soggiorni su misura, autenticità memorabili.
Il prodotto turistico è ciò che origina i pacchetti, ma nessun pacchetto esaurisce in sé il concetto di prodotto. Mutuando la terminologia dei manuali di tecnica turistica, pacchetto turistico – o pacchetto vacanza – è “formula di viaggio derivante dalla combinazione di almeno due dei seguenti tre elementi: trasporto, soggiorno e servizi accessori (escursioni, ingressi a musei, partecipazione a spettacoli, eventi particolari ecc.)”, R.Gentile, Agenzie di viaggi e network, Hoepli, MI 2002, p. 206.
Quanto sopra credo sveli come di rado un industry operator ambisca alla creazione integrale di un prodotto turistico. Esso è sempre, infatti, frutto della nitida volontà e del disegno pubblico-privato di una comunità. In tal senso, un tour operator o agente di viaggio realizzerà pacchetti, che ben “declinano” un prodotto, ma non ne sono totalmente “sinonimi”, e dunque lo spazio per creatività e innovazione rimane ampio.
Amici lettori e amici di Artès, che ne pensate?