Grand Tour: facciamo un viaggio a ritroso nel tempo, torniamo nell’Europa di fine ‘600 più precisamente nei salotti dell’aristocrazia nordeuropea, affascinata dalle bellezze antiche dell’Italia. Giovani di buona famiglia riversati nelle vie di Roma, Firenze, Venezia a riscrivere il concetto di viaggio che da lì in poi sarebbe cambiato per sempre.
Fu proprio quello il momento in cui, nella mentalità collettiva, il “viaggio” assunse una nuova veste, quella che anche oggi gli attribuiamo. La curiosità, la sete di conoscenza e il divertimento divennero gli ingredienti fondamentali e necessari degli spostamenti dei lunghi viaggi oltre frontiera, alla ricerca della classicità. Forse è difficile credere che prima di allora gli spostamenti fossero finalizzati quasi esclusivamente a scopi lavorativi o religiosi, senza il concetto di svago che oggi è dato quasi per scontato.
Il “Grand Tour” divenne il simbolo dell’Europa ricca, del giovane aristocratico in terra straniera, del poeta sregolato in cerca di nuovi spunti, una moda alla quale venne attribuito questo nome, a significare anche il passaggio dalla spensieratezza della gioventù alla consapevolezza dell’età adulta. Schizzi a carboncino, poesie, diari e riflessioni ci fanno conoscere l’Italia del XVI secolo in modo inedito, nuovo; vista attraverso gli occhi e la sensibilità di giovani nordeuropei che non la studiano sui libri ma vivono questa realtà dove persone e monumenti diventano i protagonisti.
Questo fortunato periodo sancì anche la nascita delle prime guide turistiche, molto diverse da quelle che conosciamo oggi, dove i consigli principali riguardavano l’igiene, il costo della vita, come non farsi “truffare” dai locali. E forse, alle volte, servirebbe ancora adesso…
La voglia di conoscenza era tanta, non solo per quanto riguarda l’arte, ma anche la storia, la botanica, la mineralogia, la cucina, la moda. Un’idea romantica e mitica dell’Italia accompagnava i cuori dei giovani visitatori che, secondo molte testimonianze, non si lasciavano scappare anche qualche divertimento; le “sbronze” in compagnia erano all’ordine del giorno, gli incontri amorosi numerosi e fugaci.
Ma quali erano le mete più “in” dell’epoca? Sicuramente Roma, con la sua imponente sacralità, con l’antico e il contemporaneo
che si mescolano assieme in una bizzarra armonia di forme e colori. Immaginate lo stupore del visitatore che per la prima volta vede i Fori Imperiali, dello sgomento provato di fronte alla Cappella Sistina e al chiacchiericcio di strada frenetico e vivace. Firenze, patria di grandi menti, bellezza Rinascimentale ordinata e composta, con la sua architettura “severa” e i numerosi atelier dove era possibile ammirare i maestri all’opera. E infine Venezia, decadente, barocca, diversa, un viaggio in Oriente vissuto in Occidente; molte le testimonianze di incontri amorosi in questa magica città, moltissimi i racconti di amori fugaci e passionali e ancor di più l’imbarazzo di alcuni visitatori che, incauti, passavano per caso nella famosa “Calle delle Tette”.
Lo scopo di questo breve excursus storico, non è quello di narrare fatti forse conosciuti da molti, ma di ricordare e riflettere sul perché. E la risposta è semplice: perché viaggiare è divertente. Perché permette di essere protagonisti e di ampliare le proprie conoscenze, magari ritrovandosi faccia a faccia con culture diverse. La cultura in primis, certo, ma anche le mille altre sfumature non sono da meno: gli odori, i colori, le sensazioni, le avventure spiacevoli” e il vuoto allo stomaco quando è ora di tornare a casa. Il viaggio cambia le persone, così come cambiò intere generazioni di nobiluomini settecenteschi che tornarono a casa arricchiti da un’esperienza indimenticabile.
Articolo di Alice Mion.